di Giuseppe Alonzo, Presidente C.R.A.
Il “Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura”, CRA, è il quarto ente pubblico, nazionale, di ricerca per numero di operatori ed è l’unico a possedere competenza generale nel settore agricolo, agro-alimentare, agro-industriale, ittico e forestale. Il CRA opera con autonomia scientifica, statutaria, organizzativa, amministrativa e finanziaria. E’ articolato in un’amministrazione centrale con sede a Roma e in 47 Strutture di ricerca (15 centri e 32 unità) dislocate su tutto il territorio nazionale. In funzione delle proprie specificità, le strutture CRA afferiscono a quattro dipartimenti: il Dipartimento di Biologia e Produzioni Vegetali, il Dipartimento di Biologia e Produzioni Animali, il Dipartimento di Trasformazione e Valorizzazione dei prodotti Agro-Industriali e il Dipartimento di Agronomia, Foreste e Territorio. I dipartimenti svolgono compiti d’indirizzo, promozione e coordinamento delle attività di ricerca scientifiche e tecnologiche e la loro interazione sinergica permette la capillarità delle attività della rete di ricerca del CRA nella sua interezza. Il CRA si differenzia dagli altri enti di ricerca sia per la specificità della propria missione istituzionale, che per il forte legame con il territorio, da sempre esistente, stabilito e attuato mediante le proprie strutture e le aziende sperimentali. Le istituzioni di ricerca sono sempre state di grande importanza per lo sviluppo di un paese moderno e ciò è tanto più vero oggi in quanto la globalizzazione dell’economia, il rapido sviluppo di alcuni paesi come Cina e India, lo sviluppo tumultuoso della tecnologia, determinano la necessità di una maggiore capacità di competere sui mercati attraverso l’offerta di conoscenze e di quei prodotti e processi che da queste derivano. Perché tali risultati possano essere raggiunti, occorre migliorare tutte le fasi della formazione dei giovani attivando percorsi in grado di consentire ai più capaci di accedere ai livelli più alti dell’istruzione e poi ai finanziamenti per la ricerca. E’ questo infatti l’obiettivo cui puntare per migliorare la competitività culturale e quindi economica del sistema Paese. Limitando la nostra attenzione allo stato della ricerca in Italia, balza immediatamente evidente come le risorse pubbliche e private destinate al finanziamento delle attività di ricerca, siano inferiori rispetto a quelle disponibili in altri Paesi europei e certamente non sufficienti. Molto spesso, inoltre, manca ogni certezza in merito ai tempi di erogazione del finanziamento, fattore questo importante per qualsiasi tipologia di ricerca. Mancano quasi del tutto inoltre fonti di finanziamento a carattere pluriennale, modulabili in funzione degli effettivi tempi necessari alla ricerca. Occorre dunque non solo la disponibilità di adeguati finanziamenti alla ricerca ma occorre anche che tali finanziamenti consentano quei percorsi di ricerca di medio e lungo periodo in grado di fornire risultati idonei a stimolare una vera ripresa
dell’economia basata sull’innovazione di prodotti e di processi. In una situazione di oggettiva scarsità di risorse economiche, tenuta in debito conto la spesso ampia offerta di capacità di ricerca, andranno finanziate quelle ricerche maggiormente basate su attività di collaborazione interdisciplinare e dalle quali è possibile attendersi i migliori risultati. Una ricerca dunque basata sull’innovazione e la competitività che non può e non deve tuttavia fare a meno di una valutazione dei percorsi e dei risultati scientifici che sia affidata a un organismo autorevole, terzo e indipendente, con il compito di fa emergere le reali capacità e competenze dei singoli gruppi di lavoro.Se, da un lato, l’Italia sembra avere un numero di ricercatori inferiore a quello di altri Paesi europei, si può tuttavia affermare che la produzione scientifica del nostro sistema Paese non sia inferiore a quella di Paesi a noi vicini come Francia, Germania e Inghilterra sia per qualità che per quantità delle pubblicazioni scientifiche che appaiono sulle riviste internazionali. Reclutati sotto varie forme (borsista, assegnista, contrattista, ecc.) vi è in Italia un nutrito stuolo di figure appartenenti alla galassia del precariato consistente prevalentemente in giovani che, dopo avere terminato gli studi, talvolta anche il dottorato, vengono assunti a tempo determinato per svolgere presso enti di ricerca alcune delle attività, sia esse relative alla ricerca che ad aspetti più propriamente amministrativi, previste dalle attività di un progetto di ricerca finanziato da un ente pubblico o privato. In conseguenza di ciò, il reale numero di individui effettivamente impegnati in Italia nella ricerca, lievita notevolmente. Il precario è soggetto a un’evidente incertezza nel poter definire il proprio futuro lavorativo che dipenderà, di volta in volta, dalla disponibilità di risorse economiche. Il precariato alimenta spesso pertanto un flusso di competenze in uscita dall’Italia verso Paesi in grado di garantire migliori opportunità di lavoro dovute non solo a una maggiore disponibilità di finanziamenti ma soprattutto all’esistenza di valide infrastrutture per la ricerca. Purtroppo, il fenomeno
del precariato è molto diffuso in Italia ed è in crescita tendenziale, a causa dei tagli delle assunzioni nell’Università e negli enti di ricerca pubblici. Una diretta conseguenza dell’assunzione a tempo determinato di individui a valere sui fondi per la ricerca è che questi ultimi, solo in parte, e spesso questa parte è quella più piccola, sono impiegati per le reali attività di ricerca quali l’acquisto di consumabili, l’acquisto di piccola e grande strumentazione di laboratorio, le spese per le missioni e le spese generali. Sembrerebbe dunque che, se il numero di individui effettivamente coinvolti nelle attività di ricerca è
ragionevolmente simile a quello operante in altri Paesi, si possa tuttavia parlare tuttavia di una maggiore efficienza nell’uso delle risorse economiche complessivamente disponibili. Un aspetto importante dell’attività di ricerca è la sua dimensione internazionale. Ciò significa accesso, mediante connessioni dedicate, allo scambio di dati e informazioni,
scambio di risultati scientifici, condivisione della letteratura scientifica, attivazione di sistemi di reti di elaborazione dati. Significa anche scambio di ricercatori in modo da favorire quella conoscenza diretta, necessaria perché le capacità del singolo vengano correttamente individuate all’interno della comunità scientifica di riferimento. La ridotta disponibilità di fondi per le attività di ricerca hanno sortito l’effetto di spostare le attività dalla ricerca di base a quelle attività in grado di promuovere con maggiore rapidità la capacità di innovazione e lo sviluppo tecnologico delle imprese. Sembra addirittura quasi anacronistico oggi parlare di ricerca di base, ma deve essere compreso che sia la ricerca di base che quella applicata sono necessarie componenti dello sviluppo di un Paese, del suo ruolo in un contesto internazionale, del suo futuro. E’ giusto d’altra parte riconoscere che oggi, il tempo di trasferimento dei risultati della ricer ca che nasce come fondamentale o di base a quella applicata si sono ridotti moltissimo contribuendo sinergicamente
all’avanzamento complessivo della frontiera delle conoscenze. Va riconosciuto tuttavia che, proprio la ricerca di base, è quella che produce la comprensione e razionalizzazione di fenomeni che hanno comportato i maggiori avanzamenti della scienza, della tecnologia e della cultura. In questo contesto, un esempio virtuoso rappresenta il caso degli spin-off per i quali, una appropriata miscela di risultati della ricerca, voglia di imprendere e conoscenza del mercato sono gli ingredienti che possono portare al successo d’impresa. Una politica che guardi con attenzione alla nascita di spin-off, di partecipazioni industriali
e di brevetti è assolutamente necessaria per un ente di ricerca moderno. Al riguardo, il CRA dà particolare importanza alla utilizzazione a fine d’impresa dei risultati scientifici ottenuti, non solo come occasione di lavoro per giovani ricercatori che intendano mettersi in gioco come imprenditori, ma anche come strumento per tradurre rapidamente
in innovazione le scoperte e i ritrovati derivanti dall’attività dell’ente. Il CRA ha elaborato una propria regolamentazione sullo Spin-off ed è impegnato a svolgere una azione di sostegno e supporto offrendo allo Spin-off la possibilità di un periodo di “incubazione” in un
ambiente protetto. Per favorire la crescita occupazionale e la competitività economica del Paese, per stimolare la nascita di nuove imprese che sfruttino l’innovazione di prodotto e di processo, occorre dar vita ad un nuovo modello di rapporto ricerca-sistema produttivo prevedendo un insieme di strumenti relazionali, finanziari, fiscali e normativi idonei ad agevolare e incentivare il trasferimento delle conoscenze dal mondo della ricerca a quello dell’impresa. Ecco quindi che una collaborazione attiva tra il CRA e il CONAF, può rappresentare uno strumento innovativo per far giungere le conoscenze maturate nell’ambito dei laboratori di ricerca. Per celebrare questa collaborazione, CRA e CONAF hanno stabilito di istituire la “giornata dell’innovazione”. Il 13 marzo 2013 tutte le sedi del CRA, in tutta Italia, apriranno le porte per ricevere, insieme ai rappresentanti del CONAF gli imprenditori agricoli interessati a valutare potenziali percorsi innovativi per la propria azienda. Di sicuro, occorrerà del tempo per vedere il risultato di questa iniziativa, ma ritengo che gli sforzi messi in campo oggi produrranno splendidi frutti.