Intervista a Marco Gobbetti, presidente dell’Associazione Italiana delle Società Scientifiche Agrarie (Aissa)
Più ricerca in agricoltura e più qualità della ricerca. L’Associazione Italiana delle Società Scientifiche Agrarie (AISSA) di cui lei è presidente ha recentemente realizzato un documento nella direzione di una valutazione della qualità della ricerca. Con quali obiettivi presidente Gobbetti?
Ricerca al passo con i tempi e migliore qualità della stessa sono obiettivi imprescindibili di qualsiasi area delle scienze, ivi inclusa l’agricoltura. L’Associazione Italiana delle Società Scientifiche Agrarie, che è utile ricordare rappresenta quasi 3500 ricercatori e, quindi tutti o quasi gli operatori della ricerca in questo settore, ha recentemente proposto un documento che vuole nel contempo evidenziare gli elementi critici che non consentono lo sviluppo delle potenzialità del settore e riportare linee di indirizzo per una gestione più proficua degli esigui fondi a disposizione. Il documento è stato, appunto, promosso da
chi sul campo, in maniera oggettiva e tangibile, osserva l’inefficienza del sistema. L’obiettivo dovrebbe essere quello di individuare temi di ricerca aggreganti, senza inutili dispersioni, promuovere reti di eccellenza che fungano da traino per l’intera comunità e riconoscere secondo criteri meritocratici i risultati di eccellenza, destinando in tal
senso risorse il cui positivo sfruttamento è quasi sicuro.
A differenza degli altri Paesi europei, diminuisce la quota del PIL che l’Italia indirizza su ricerca e innovazione e di conseguenza la spesa nella ricerca. A quali ripercussioni e conseguenze l’agricoltura italiana può andare incontro se non c’è un’inversione di tendenza?
E’ ovvio ed accettabile che il contesto di crisi economica generale si rifletta anche nell’ambito della ricerca. Non è accettabile che la ricerca debba essere uno dei settori più colpiti, così come non è lecito dimenticare l’importanza economica del settore agro-alimentare per il nostro Paese. L’inversione di tendenza è forse un miraggio, ma
sicuramente un arresto di questa tendenza con uno attento sguardo alle potenzialità del settore è possibile. Una riflessione, in questo contesto, merita anche la cattiva gestione dei fondi resi disponibili dall’Unione Europea. Lentezza, burocratizzazione e gestione non
sempre ottimale di queste risorse hanno prodotto risultati della ricerca notevolmente inferiori alle potenzialità dei progetti e dei ricercatori. Ovviamente, se la ricerca nel settore non fornirà risultati trasferibili, per fare alcuni esempi, sarà sempre più difficile la difesa dell’enorme patrimonio agro-alimentare italiano, saranno sempre maggiori i casi di imitazione dei prodotti alimentari da parte di paesi esteri, sarà sempre più problematico rispondere a logiche di mercato che prevedono l’estensione della vita commerciale e la differenziazione dei prodotti, e sarà impensabile sviluppare innovazione di processo
e prodotto.
Criteri per la distribuzione dei fondi, valutazione e monitoraggio dei risultati. La qualità della ricerca secondo il vostro documento in che misura può passare da questi strumenti?
E’ mia convinzione che il documento in oggetto abbia ben focalizzato gli elementi di criticità. Sebbene AISSA sia fortemente in favore del processo di valutazione della qualità della ricerca, più o meno recentemente promosso dalle istituzioni ad esso deputate, non è più lecito, proprio per l’esigua disponibilità di fondi, osservare ancora la distribuzione a pioggia delle risorse, l’assenza di un’anagrafe dei risultati della ricerca e della produzione scientifica dei ricercatori,sulla base della quale orientare in parte le scelte, il monitoraggio
esclusivamente ex-post dei progetti di ricerca, il reclutamento su base volontaria dei valutatori di progetto e per alcuni ambiti la scarsa propensione al trasferimento tecnologico. AISSA ha proposto una serie di strumenti e linee di azione sulla base dei quali è disposta a dare un contributo alle istituzioni, accettando il principio che per rendere competitivo un settore è altrettanto opportuno premiare i migliori risultati, così che essi rappresentino uno stimolo per la crescita dell’intera area di ricerca.
L’internazionalizzazione della ricerca quali prospettive potrebbe aprire nel medio e lungo termine?
Se si vuole stare al passo con i tempi non è più lecito prescindere dall’internazionalizzazione della ricerca, anche per quei settori che con maggiore difficoltà hanno iniziato tale processo. In questo ambito, la mia visione è si quella di favorire collaborazioni con istituzioni estere di prestigio e di promuovere il soggiorno dei nostri ricercatori all’estero, ma è anche quella di invertire una tendenza consolidata, attraendo la permanenza di ricercatori stranieri presso alcune nostre istituzione che hanno acquisito particolare considerazione scientifica. Cioè, internazionalizzare i nostri centri di ricerca. Purtroppo, ad oggi non siamo competitivi, non per i risultati che riusciremmo a garantire,
ma per l’esiguità del trattamento economico che saremmo in grado di assicurare, molto al di sotto della soglia media europea.