di M. Raimondo Azara, dottore agronomo
A 10 giorni dall’infausto lunedì 18, dopo innumerevoli riunioni a tutti i livelli, si comincia a delineare un quadro più preciso degli effetti devastanti derivati dalla piena improvvisa della serata di quel giorno. Oltre ai danni infrastrutturali, enormi, si comincia a censire lo stato delle aziende agricole,alcune,per altro, non ancora facilmente raggiungibili. La stima fatta a caldo il giorno 19 novembre si è confermata congrua per i capi di bestiame (500 pecore,80/100 bovini e 200 suini); mancano ancora conferme significative per gli arboreti,per gli impianti e per le strutture aziendali. I frutticoltori lamentano, oltre la perdita del prodotto, la totale distruzione degli impianti irrigui,delle recinzioni e un generale stato di sofferenza, soprattutto negli agrumeti, a causa del perdurante ristagno idrico. Le organizzazioni di categoria si stanno attivando per la stima dei danni nelle aziende e anche i privati,pur con la prudenza legata a quanto diremo dopo, stanno interpellando i professionisti di fiducia. Non è ancora chiaro infatti se, come in passato, le aziende non iscritte agli elenchi ufficiali e condotte da imprenditori non professionali saranno escluse dagli aiuti. Nel 2008, molti conduttori non professionali videro aggiungersi al danno anche la beffa delle parcelle pagate ai tecnici per la redazione delle perizie. È di oggi la notizia che la Regione Sardegna pubblicherà i moduli per aziende e privati necessari alla denuncia e quantificazione dei danni.
Torpè ha un territorio di 9.200 ettari circa,di cui nella piana circa 700 ettari,la gran parte irrigui. Ha, inoltre,un patrimonio zootecnico di circa 15.000 capi ovini,600 bovini,600 suini e 6/7000 animali di bassa corte (avicoli). I danni al bestiame sono gravi ma,date le circostanze,abbastanza limitati. Le aziende ,soprattutto agrumicole, invece lamentano i danni detti in premessa e sono di particolare gravità, in quanto l’ubicazione,golenale o perigolenale, delle stesse è a ridosso degli argini realizzati a suo tempo e recentemente “restaurati”. Ebbene,la rottura in più punti degli argini o,laddove hanno resistito, il superamento degli stessi(argini) dall’imponente onda di piena ha investito con potenza inaudita e con una massa di acqua e fango valutata il 35 milioni di metri cubi,tendo presente che una parte è rimasta invasata nella diga di Maccheronis. La massa d’acqua formatasi nel bacino in breve tempo( est.flash mob), è stata stimata in oltre 50 milioni di metri cubi.(3.500 mc./sec). Facile immaginare le conseguenze sulle colture e sulle strutture,completamente sommerse,e non solo. Le foto allegate testimoniano eloquentemente l’accaduto, e sono solo una piccola, benché emblematica, parte del tutto. Non si contano le costruzioni,magazzini e ricoveri per macchine e attrezzature,che hanno subito danni ingenti; emblematica, al riguardo, l’immagine di un tronco d’albero ancora adagiato sul tetto di una casa colonica a Posada. Quanto appena descritto riguarda anche il confinante territorio di Posada,3.300 ettari di cui 700 nella piana, dove la piena ha completato l’opera, avviandosi al mare, non sottraendosi all’impegno di trascinare via oltre un chilometro del tracciato della storica statale 125 “Orientale Sarda”. Fortunatamente,solo in pochissimi casi,le abitazioni ospitavano permanentemente le famiglie degli agricoltori,la più parte vive nei centri abitati di Torpè e Posada e si sposta giornalmente in azienda,altrimenti il bilancio,già disastroso, sarebbe stato ancor più tragico di quanto già non sia per le vite perdute. Mi voglio, volutamente, esimere da considerazioni che possano richiamare responsabilità dell’accaduto; c’è già un’inchiesta delle Procure, ma voglio ancora una volta evidenziare, non senza vena polemica,l’annosa e reiterata, forse perché siamo meno numerosi, questione del mancato coinvolgimento della nostra categoria ogni qualvolta si interviene sul territorio e si assumono decisioni cogenti sull’utilizzo dello stesso. Dopo secoli,nelle zone agricole, in virtù di una malintesa gestione del paesaggio, le poche costruzioni assentite,dopo innumerevoli e defatiganti trafile burocratiche, devono essere ubicate nelle parti basse delle aziende, laddove in situazioni simili maggiori sono i pericoli. Forse perché, essendo la Sardegna un’isola che tutti dicono bella, gli agricoltori non possano godere di tale bellezza se,per fortuna,dal proprio fondo si vede anche il mare. Per loro è vietato.