di Francesco Platania – Dottore Agronomo
Il legame tra la Sicilia e l’arancia deriva da una storia ormai più che millenaria, avendo avuto inizio già nel IX secolo ad opera degli Arabi, essendo poi proseguito a partire dal XIV secolo con la diffusione ad opera dei Portoghesi e avendo trovato il massimo della diffusione a partire dal XX secolo. Il carattere di tradizionalità e il peso socio economico della coltivazione dell’arancia è confermato dalla diffusione in termini di superficie che oggi ammonta a circa 60.000 ettari. Le aziende agricole sono circa 27.000 con una occupazione diretta di circa 25.000 addetti (6.5 mln/gg). Considerando la resa media, pari a 250q/ha e, ahimè, il prezzo medio di soli 20 euro /q, il comparto arancicolo genera una P.L.V. annuale all’origine di circa 300.000.000 di euro (Fonte: Elaborazione DIGESA UNICT su dati ISTAT). Valore che assume un peso non indifferente se come parametro di valutazione della importanza economica viene presa in considerazione la vita media dell’aranceto (35 anni) e tutto l’indotto che ne consegue. Sul territorio Siciliano la “Piana di Catania”, con le sue peculiarità e caratteristiche pedoclimatiche, da sola rappresenta il fiore all’occhiello dell’agrumicoltura siciliana con le note varietà pigmentate Tarocco, Moro e Sanguinello (IGP Arancia Rossa di Sicilia). Altresì importanti le bionde Whashington Navel ottenuta in provincia di Agrigento (DOP Arancia di Ribera) e l’Ovale della Valle dell’Anapo. Purtroppo, nonostante le peculiarità del prodotto e le qualità universalmente riconosciute, la nostra agrumicoltura, per molte e note ragioni, ha subìto e continua a subire sempre più pesantemente la concorrenza di altri paesi produttori. In questo contesto la coltivazione dell’arancia non può essere lasciata al caso. Nell’ottica del miglioramento, e in un contesto competitivo così spietato, il ruolo che riveste l’Agronomo è fondamentale. Fondamentali sono infatti i giusti indirizzi tecnici a partire dall’impianto, il tenere concretamente conto di tutti i fattori durante la produzione che, se non ben ponderati, possono influire negativamente sull’esito della coltura, nel rispetto dell’agroecosistema, della legislazione cogente e della sicurezza alimentare e del mercato. Va messo in risalto come i costi di produzione sono in continuo aumento, ma soprattutto va evidenziata una commercializzazione “disgregata” che, anche se involontariamente, ha contribuito a mettere in crisi di sopravvivenza la nostra agrumicoltura. Non è stato ancora infatti superato il sistema “individualistico”, anacronistico rispetto le regole che caratterizzano la moderna commercializzazione che appunto richiede concentrazione dell’offerta e qualità per affrontare le richieste sempre più esigenti del mercato, GDO in testa.