Uva da Tavola: un comparto in crescita nel segno della sostenibilità ambientale

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di Antonio Mastropirro – Dottore Agronomo e  Pietro Scafidi – Dottore Agronomo

L’uva da tavola è una delle colture arboree maggiormente diffusa in Italia. Secondo i dati Istat 2013 (fonte : Istat, stima delle superfici e produzioni delle coltivazioni agrarie) la superficie in produzione occupa il sesto posto tra le coltivazionI legnose (50.656 ha), preceduta da olivo (959.036 ha), uva da vino (635.988 ha), arancio (82.088 ha), nocciolo (51.414 ha) e mandorlo (51.024 ha). Se si considerano, invece, le coltivazioni legnose per la produzione di frutta per il consumo fresco, l’uva da tavola è al secondo posto per superficie, preceduta dall’arancio, e seguita a breve distanza dalla coltivazione di melo (47.179 ha) e pesco (45.618 ha). La coltivazione di uva da tavola è un’esclusiva del Sud Italia, e in particolare le due regioni dove la coltura riveste una grande importanza economica sono la Puglia, con 29.650 ettari in produzione maggiormente concentrati nelle provincie di Taranto (12.000 ha), Bari (10.500 ha) e nell’areale di Barletta-Andria-TranI (4.800 ha), e la Sicilia in cui sono presenti 15.880 ettari suddivisi nelle province di Agrigento (5.630 ha), Catania (4.000 ha), Ragusa (3.000 Ha) e Caltanissetta (3.000 ha). Dall’indagine Istat sulla struttura e produzione delle aziende agricole del 2007, in Italia risultano censite 19.740 aziende di uva da tavola, di cui il 35% ricade nel territorio Pugliese, il 28% in Sicilia e la restante parte suddivisa tra Sardegna, Basilicata, Abruzzo e Lazio. La gestione colturale dell’uva da tavola è molto complessa, in quanto molte delle operazioni eseguite sulla pianta, a partire dal carico di gemme lasciato in potatura
invernale fino ad arrivare alle defogliazioni pre-raccolta, sono specifiche per ciascuna varietà coltivata. Ciò comporta un alto grado di specializzazione del viticoltore e dei tecnici coinvolti nel processo produttivo. Questo complesso sistema di gestione, implica un cospicuo impiego di manodopera, che mediamente si aggira sulle 850 ore per ettaro/anno (Bollettino Ufficiale della Regione Puglia – n. 132 del 20-9-2007), il cui numero può notevolmente aumentare nel caso di annate in cui si verifichi un’elevata incidenza del fenomeno di acinellatura, ovvero la formazione di piccoli acini causata da anormali processi di fecondazione. Per molti anni questa coltura è stata nell’occhio del ciclone per quel che concerne la sostenibilità ambientale, con particolare riferimento ai trattamenti fitosanitari e ai loro residui nell’ambiente e sull’uva che arriva al consumatore finale. Un grande lavoro è stato fatto per ovviare a tale situazione da parte delle istituzioni e degli operatori del settore. Ad oggi, il comparto dell’uva da tavola vanta una notevole attenzione in termini di sostenibilità ambientale e, considerata l’importanza che ha l’esportazione del prodotto uva nel mondo, si riscontrano realtà aziendali strutturate in modo da soddisfare non solo i requisiti normativi, ma anche le richieste degli importatori dei differenti Stati, in termini di rispetto dell’ambiente, sicurezza del lavoratore e del consumatore. A tutela e conferma di tale percorso, negli ultimi anni si è registrato un notevole incremento di tutti quei sistemi di certificazione volontaria, primo tra tutti il Global Gap, che per molte aziende non è soltanto un aspetto burocratico, ma un sistema di implementazione aziendale.
La produzione di uva da tavola è, quindi, in gran parte indirizzata all’esportazione. Un ulteriore peculiarità del comparto è, dunque, che mercati diversi richiedono differenti
tipologie di prodotto. La prima discriminante è la presenza dei vinaccioli, seguita poi dal colore e dalla dimensione dell’acino e dal sapore. Paesi come Francia, Germania e Svizzera richiedono, ad esempio, uva dal colore giallo oro, con dimensione dell’acino medio-grande e sapore moscato, mentre al contrario paesi quali Inghilterra, Belgio, Cina richiedono uve senza semi, con acino medio-piccolo, colorazione crema, rossa o nera (in funzione della varietà) e gusto piatto. Per rispondere, quindi, alle diverse esigenze dei clienti, l’azienda deve pianificare la propria produzione in funzione dei propri mercati di sbocco.Tale pianificazione è da intendersi a breve termine per l’annata agraria, ma anche a lungo termine nella scelta della varietà da coltivare. A tal proposito non si può prescindere dall’innovazione varietale che è in corso, bisogna, quindi, sganciarsi dalla varietà Italia che, per quanto abbia consentito una grande crescita economica del comparto, oggi è da considerare soltanto una delle possibili alternative varietali a disposizione del viticoltore.

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